venerdì 27 marzo 2009

visions

Concerned photographers... 
Fotografi impegnati... impegnati a far che? Impegnati a mostrare le tragedie del mondo, impegnati a correr dietro a guerre, fame e violenza credendo cosi, utopicamente, di risolver qualcosa.
Beata l’epoca in cui una foto cambiava il mondo! Chi crede ancora in ciò ai nostri giorni?
Da otto anni insegno fotografia in una favela e questo è il mio impegno (ultimamente qua in Brasile è scoppiata la moda dell’”inclusão visual”). Non so se serva a molto. Forse serve a distrarre bambini e adolescenti – i famosi “meninos de rua”- che, senza niente da fare, si barricano nelle lan-house per “chattare” in orkut con amici virtuali, quando non passano il tempo sniffando colla o crack di pessima categoria. 
Potrei fotografare tutto ciò, ma non voglio. A che servirebbe? Solo a me, forse, per vincere un premio. Non a loro! Le mie fotografie non cambierebbero nulla alle loro vite.
In questi giorni i media non fanno altro che scrivere notizie di bambini che subiscono violenze: una neonata di dieci mesi violentata dal padrino, una bimba di cinque anni strangolata e gettata dalla finestra, un’altra picchiata a morte, per non parlare dei numerosi casi di pedofilia e prostituzione infantile che occupano le pagine dei giornali, sia in Brasile sia nel resto del mondo. 
È diventata una moda. O una perversione. Come ritrattare ciò? Impossibile! 
La sequenza che propongo non è assolutamente documentale, non vuole mostrare nessuna “realtà”. È piuttosto un ritratto molto personale di alcuni meninos de rua, bambini che subiscono violenze quotidiane di cui non parla nessun notiziario. Per legge è vietato esporre immagini di minori se non con una fascia nera che ne occulti gli occhi. Nelle mie immagini focalizzo l’attenzione proprio sui loro occhi occultandone il viso con cieli burrascosi: cieli del Cearà, cieli che si rispecchiano nei loro occhi quando guardano l’orizzonte, cieli che rinviano ai loro pensieri e alle loro vicissitudini.

Nessun commento: